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LA NUOVA VISIONE SPAZIALE 

 

Superfici e corde nello spazio - rapporto aureo ( Tridimensionalità Binoculare nella NUOVA VISIONE SPAZIALE)

Tecnica mista su juta e multistrato, 2011, cm120 x 268

 

Riflessione sulla “nuova visione spaziale” di Saverio Magno


L’opera di Saverio Magno si inserisce nel novero di esperienze estetiche novecentesche derivate dall’osservazione dello spazio fisico, un’interpretazione scientifica incline alla realizzazione di lavori in cui lo spettatore possa verificare il mistero nascosto della percezione visiva. La “nuova visione spaziale”, come egli stesso l’ha definita, fa riferimento a una linea iconografica che dal Cubismo di Braque e Picasso giunge diritto allo Spazialismo di Fontana, passando attraverso elementi di Neoplasticismo derivati da Mondrian. Un percorso ben preciso dove l’artista, applicando il concetto astronomico della parallasse stellare, origina un sistema visivo in cui la pittura abbandona i semplici valori bidimensionali per inserirsi in contesti tridimensionali restituendo, allo spettatore, l’esatta condizione visiva della realtà.
La ricerca di Magno si sviluppa in tre fasi conseguenziali: una prima legata alla diretta presa di coscienza del suo lavoro (da parte dello spettatore) attraverso l’utilizzo di strutture cubiche, il cui impiego ricorda le camere ottiche del XVII secolo; una seconda in cui l’opera, il dipinto, si separa da tali strutture acquisendo autonomia espressiva; una terza, infine, in cui l’artista restituisce quella che può essere considerata la raffigurazione di una vera e propria visione 3D.
Questi tre passaggi consentono di comprendere tale indagine orientata sostanzialmente nella possibilità di conferire, attraverso l’arte, la reale visione del mondo legata alla nostra percezione binoculare. Dal punto di vista estetico si è difronte a un artista profondamente tecnico la cui ricerca è da accostare non solo ai nomi già individuati, ma anche ad artisti che nella storia hanno espresso inclinazioni similmente orientate alla restituzione analitica degli elementi reali. Si pensi ad esempio ad un Canaletto e al lavoro che proprio con la camera ottica quest’ultimo ha portato avanti, oppure ai francesi Seurat e Signac, la cui ricerca si basava totalmente nelle coeve teorie di ottica, così come Cézanne che già nelle sue opere tentava la restituzione binoculare della linea di contorno, per arrivare poi ai futuristi e alle teorie di percezione ottica nelle compenetrazioni iridescenti di Giacomo Balla.
Nel caso di Saverio Magno, tuttavia, la questione si fa ancor più complessa, poiché l’artista unisce la ricerca ottica alla questione, come detto, della parallasse stellare permettendoci di verificare una condizione di relazione tra l’essere terrestre e il rapporto con lo spazio cosmico. Questo passaggio è definito dall’artista nella sua “nuova visione spaziale” come un punto d’approdo verso una consapevolezza nuova. Se è vero che Fontana, per la prima volta, attraverso il taglio sulla tela tentava di sondare il mistero ignoto dell’Universo, ma di fatto annullando la pratica pittorica, nella nuova visione spaziale di Magno il problema non si fonda tanto su questioni filosofiche, piuttosto intercetta una sorta di neorealismo visivo dove l’elemento contingente si sintetizza nella forma pura e in un insieme di velature finalizzate a permetterci un’esatta comprensione dello spazio circostante.
Questa proiezione visiva ed estetica del reale ci induce ad una riflessione sulla nostra percezione della vita. L’aniconicità di Magno appare perciò in linea con le teorie neoplasticiste e spazialiste, trovando una possibile congiunzione semantica e stilistica nell’insistenza sulle forme rigide ortogonali e sui colori primari: rosso, giallo e blu. A ciò va altresì unito quel riferimento tridimensionale che sondando la dimensione ottica del vero finisce per suggerire nuove possibili condizioni percettive dell’intera esistenza. Il lavoro di Saverio Magno attiene infatti ad elementi prossimi all’architettura poiché inevitabilmente orientati a trasportare lo spettatore entro spazi d’interazione totale.
Ad una prima vista le opere esprimono principi di astrattismo tradizionali, ma addentrandoci nell’insieme del lavoro si comprende come questa sia solo la superficie. La complessità degli elementi in gioco va infatti ricondotta al tentativo di superare la bidimensionalità per addentrarsi nel mistero dello spazio tridimensionale. La doppia visione di cui egli parla si materializza nelle attente velature e in un insieme di linee e corde che determinano la costruzione spaziale in relazione al nostro punto di vista. Ciò determina continui spostamenti delle superfici visive nonostante la fissità dell’osservatore, ma soprattutto spinge ad una riflessione ancora più ardimentosa: la questione del nostro rapporto con la realtà cosmica.
Ogni artista visivo si colloca, di fatto, in quello spazio intermedio tra la realtà e il nostro modo di percepirla. La nuova idea spaziale di Saverio Magno si palesa altresì in una direzione che – ma è solo una mia personale ipotesi – richiama certe suggestioni derivanti dalle teorie della fisica più recente. Mi riferisco, ovvero, all’idea che l’Universo non sia in realtà tridimensionale, ma olografico e sostanzialmente in due dimensioni. Secondo tali teorie sarebbe la nostra percezione a decifrare le tre dimensioni, ma in chiave sostanzialmente ingannevole rispetto alla vera natura del Cosmo.
Queste teorie non cambiano la nostra vita quotidiana, ovviamente, ma inducono noi osservatori a definire rinnovati scenari esistenziali. Parallelamente il lavoro di Saverio Magno, mi sembra di poter dire, intercetta una nuova dimensione esistenziale della realtà superando le vecchie convenzioni. Se vogliamo quindi definire la sua “nuova visione spaziale”, siamo dunque indirizzati a vederla come un’inedita possibilità di linguaggio aniconico che unisce pittura, scultura e architettura, ma che si materializza solo attraverso la visione dello spettatore il quale diviene parte integrante dell’opera.
Un pensiero complesso che diventa arte nel momento in cui abbandona l’esclusività della ricerca teorica, per incanalarsi nella condizione estetica. In alcuni casi i quadri vengono affiancati per poi essere uniti in un’unica grande opera. Questa azione consente all’artista di rappresentare la tridimensionalità binoculare e la visione 3D. La teoria consiste dunque nella proposta di scindere le due traiettorie visive, cioè quella di sinistra e di destra, facendole convergere in un’unica focale prospettica deducendone che l’occhio sinistro guarda l’immagine destra, mentre il destro quella sinistra. Collocando un oggetto a metà della distanza tra gli occhi e i due quadri ne emerge infine l’immagine di tre elementi manifestando, nello spostamento dell’oggetto avanti o indietro, la percezione della tridimensionalità.
Da questi esercizi di metodo resta a noi la bellezza di opere essenziali e minimaliste, la cui natura compositiva rimanda al rigore neoplastico, ma arricchito da suggestioni spazialiste e cadenzate sottilmente tra materia e colore. Il fondo bianco, nella maggior parte dei casi, concorre a donarne leggerezza e purezza collocandole nel ristretto ambito delle ricerche contemporanee più raffinate e dal grande valore artistico.

Andrea Baffoni

 

 

 

 

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